Stalking: chiavi di lettura e incastri relazionali.
“Ma lui che l’insegue, con le ali d’amore in aiuto, corre di più, non dà tregua e incombe alle spalle della fuggitiva, ansimandole sul collo fra i capelli al vento. Senza più forze, vinta dalla fatica di quella corsa allo spasimo, si rivolge alle correnti del Peneo e: «Aiutami, padre», dice. «Se voi fiumi avete qualche potere, dissolvi, mutandole, queste mie fattezze per cui troppo piacqui».[…]
A cura della Prof.ssa Laura Seragusa, PhD, responsabile Dipartimento Salute e Benessere
La ricerca scientifica ha messo in luce un aspetto molto significativo del fenomeno dello stalking, in particolare il fatto che nella maggior parte dei casi esiste una relazione pregressa tra lo stalker e la sua vittima e tale relazione implica, frequentemente, un precedente legame di tipo sentimentale o sessuale. In merito alla relazione fra vittima e stalker, alcuni autori (ad es., Brewster M.P., 2003; Spitzberg & Cupach, 2002) ipotizzano l’esistenza di un incastro relazionale tra i due soggetti, alimentato da un meccanismo di co-dipendenza, in cui la strutturazione del rapporto stalker-vittima è associata ad una totale e disfunzionale focalizzazione dell’altro partner sui propri bisogni e comportamenti. Nelle coppie co-dipendenti il partner “sano” organizza la sua esistenza in funzione dell’altro e della sua malattia, senza la quale sembra impossibile continuare a rivestire un importante ruolo di sostegno; obiettivo, irraggiungibile, dello stare insieme all’altro è salvarlo, anche ove ciò comporti gravi sofferenze e implichi comportamenti abusanti o maltrattanti da parte del partner. Ciò comporta una strutturazione simbiotica del legame stesso con il rischio di assoluto stallo e irrigidimento dei ruoli che diventano immodificabili. Come del resto accade all’interno di ogni fenomeno umano complesso non sono tanto le singole caratteristiche specifiche dello stalker o della vittima a determinare le dinamiche dello stalking, quanto piuttosto quello che potrebbe definirsi come un “sistema emergente” (disfunzionale) determinato dalle modalità di incastro tra le caratteristiche personali dei due soggetti interagenti. In una prospettiva fenomenologico-esistenziale possiamo guardare allo stalking come ad una relazione Io–Esso, dove entrambi i membri della diade contribuiscono, in funzione del soddisfacimento di bisogni personali, al mantenimento della stessa. L’uno si relazione all’altro non in quanto Tu ma in quanto Esso, l’altro, dal canto suo, si vive in quanto Esso, ovvero oggetto e non soggetto, il cui senso nel mondo si struttura nel soddisfacimento dell’esigenze e aspettative altrui. Nell’utilizzare i termini Io–Tu e Io–Esso si fa riferimento al principio dialogico espresso da Martin Buber (1993) nella sua opera più famosa. Di primo acchito, si potrebbe essere indotti a pensare che la relazione Io-Tu alluda ai rapporti con gli altri uomini e la relazione Io-Esso si riferisca invece a quelli con le cose inanimate. In realtà la questione è più complessa, in quanto l’Esso può comprendere anche un Lui o una Lei reificati, ovvero trasformati in oggetto dall’Io. La relazione Io-Tu esige un’apertura totale dell’Io, esponendosi quindi anche al rischio del rifiuto, quello che lo stalker non tollera. Per poter co-costruire una relazione con un Tu è necessario “vedere l’altro” e questo implica anche il riconoscere aspetti di sé che non si sarebbero riconosciuti senza l’altro. Questo riconoscimento di sé nella relazione con l’altro non sempre apre a qualcosa di piacevole, anzi, molte volte, l’altro può divenire quello specchio nel quale Dorian Gray si vede così com’è e non nella fissità del suo ritratto perfetto. Nella relazione di stalking la percezione di sé e dell’altro è fissa, l’uno è spostato sull’Io-Mio l’altro sull’ Esso-Tuo. Se la percezione di sé e dell’altro è fissa, anche il mondo relazionale diviene fisso. Se l’esporsi allo sguardo dell’altro, che permette l’incontro, è fisso, si fissa anche la relazione in modo delirante, ovvero non si accetta il rischio di co-costruire con l’altro la relazione.
Non sembra un caso che l’attenzione sul fenomeno dello stalking si sviluppi proprio in questo memento storico, in una società in cui l’altro rappresenta l’estraneo, e in cui la relazione con l’altro è strutturata sul regime della pretesa a scapito di un più arricchente regime di scambio (è solo attraverso lo scambio che è possibile lo sviluppo). Nelle indicazioni che spesso si ritrovano fra i suggerimenti rivolti alle vittime di stalking colpisce l’elenco di una serie di elementi che possono essere riassunte nella categoria strategica dell’evitamento e del non contatto. Sembra quindi che la sola forma di difesa da chi assilla sia trovare ogni mezzo disponibile per evitarne attese relazionali di qualunque genere, ma anche allontanare ogni opportunità di relazione o contatto. Da ciò ne deriva una conclusione relativa all’implausibilità sociale del rapporto con qualcuno con il quale è impossibile entrare in relazione in quanto soggetto della stessa. Il cosiddetto stalker potrebbe essere in fondo qualcuno che sembra non capire di star violando le soglie dell’intimità consentita, le frontiere reciprocamente condivisibili di una relazione tra persone. Si potrebbe dire che nel rapporto intersoggettivo tra vittima e stalker vi sia “un conflitto di interessi”. Da un lato c’è un Io che propone/impone una relazione Io-Esso, non riconoscendo la soggettività dell’altro e non aprendosi alla possibilità di entrare in contatto con sé stesso. Dall’altro lato c’è un Tu che, molte volte, non delimitando un confine netto con l’altro non si assume la responsabilità della propria soggettività, o meglio di quella parte della propria soggettività che implicherebbe quella che P. Quattrini chiamerebbe una “guerra di difesa”, necessaria per conquistare il proprio spazio e per porre una distanza funzionale ad evitare l’invasione nel proprio territorio. L’esame della letteratura nazionale e internazionale sul fenomeno dello stalking mostra come uno degli elementi chiave del fenomeno abbia a che fare con la relazione di coppia e con le sue caratteristiche. Gli studi sulla coppia violenta sottolineano come un incastro di coppia sbilanciato, ove la gestione del potere è ad appannaggio solo di uno dei membri, ove persistono elementi disfunzionali, legati ad una “fissità” nella divisione dei ruoli e nella rappresentazione stessa della relazione, sia terreno fertile per l’instaurarsi di dinamiche di coppia fondate sul maltrattamento e sul predominio.
Naturalmente queste dinamiche vengono esasperate nel momento in cui si prospetta la rottura della relazione, evento generalmente vissuto come una manifestazione di autodeterminazione della vittima, quando questa si propone cioè come soggetto nella relazione e non più solo come oggetto e, dunque, assolutamente inaccettabile da parte del partner che, attraverso lo stillicidio dello stalking, intende riappropriarsi di ciò che vive come un “mio”. Spesso le vittime si ritrovano, anche a seguito dell’invischiamento nella relazione di stalking prive di una rete sociale su cui fare affidamento, prive del necessario sostegno e della possibilità di riconoscere il proprio potere. Sarebbe auspicabile lo sviluppo di una sinergia tra operatori che a vario titolo entrano in contatto con le vittime, al fine di ricostruire quel contesto supportivo, accogliente e protettivo che rappresenta la base necessaria per la vittima per sentirsi riconosciuta come persona e sostenuta nella elaborazione di strategie di difesa e, eventualmente, di denuncia dell’abuso. Fondamentale è permettere alle vittime di riconquistare il potere perduto, prima di tutto nell’autodeterminarsi, il potere di essere soggetto e di agire come tale, integrando parti disconosciute di sé e permettendo a sé stesse, quindi, di sottrarsi ad una co-costruzione relazionale giocata su una fissità di regole e di ruoli.
SIM CARABINIERI
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