SIM CARABINIERI: NON PIU’ DISPOSTI A FARE DA BERSAGLIO
I fatti di Atena Lucana lasciano sgomenti ed attoniti. Oggi Atena Lucana, ieri Belmonte Mezzagno, e ancora Milano con l’inseguimento della moto che non si è fermata all’Alt, e domani? Cambiano le località, ma le modalità restano sempre le stesse. L’ennesimo collega impiegato a fare il suo lavoro, quello per cui è chiamato e pagato dallo Stato, ma con un oggettivo impedimento procedurale sull’uso dei mezzi e della forza. Ennesima dimostrazione che quando ricorri all’uso dell’arma che hai in dotazione, contro chi attenta alla tua incolumità, nel migliore dei casi, di becchi un processo penale. Non sempre puoi ricorrere al Taser (se ce l’hai in dotazione!) E allora, cosa fare? Lasciare fuggire chi scappa all’alt? Inseguiamo chi scappa fin quando gli finisce la benzina (se non finisce prima o noi)? Cosa fare? La stessa cosa accade quando nei nostri centri urbani gli operatori di polizia restano in balia dell’esagitato che gli aggredisce, non collabora, non si arrende. Cosa fare? lo sfidiamo ad un incontro di boxe? Di lotta libera o greco romana? La vita di un essere umano è sempre sacra. Sempre e comunque sacra. Ancora una volta occorre riflettere sulla necessità di dotarsi di “regole di ingaggio” chiare, procedure operative discusse, condivise, approvate, aventi valore di legge, redatte da commissioni create ad hoc, approvate da Camera, Senato, Corte Costituzione, Corte Europea dei diritti dell’uomo e da chiunque altro vogliate. Regole certe da fornire a chiunque viene chiesto di svolgere un compito delicato come la tutela della sicurezza, della vita, della pubblica e privata incolumità. Regole nell’interesse di tutti, di chi opera ed è disposto a dare la propria vita per gli altri e di chi si trova dall’altra parte, a volte prevaricando, mettendo in difficoltà l’operatore che in mancanza di mezzi idonei, regole certe, tutele procedurali, non sa cosa fare, o peggio, ha paura ad operare. Il limbo, la terra di mezzo, la terra di nessuno. Un luogo in cui nessuno vorrebbe trovarsi ma che tutti si sentono in dovere di giudicare, criticare, additare, sentendosi migliori, capaci, competenti, pur non essendoci mai stati e senza avere la più pallida idea di cosa sia. Servono regole che dicano: Se succede questo, devi fare questo, se capita quest’altro, allora, devi fare quest’altro. Devi usare questi mezzi e questi strumenti in questi casi, in altri casi, usa questi altri mezzi e questi altri strumenti. Possibilmente, fornendo anche i mezzi idonei per quello che ti si chiede di fare. Regole chiare, norme certe, quelli che altri paesi chiamano “rules of engagement”. Hai seguito le procedure? Perfetto. Grazie e buon lavoro. Non hai seguito le procedure? Cerchiamo di capire cosa è successo. Non abbiamo bisogno di fumosi principi che volutamente dicono e non dicono, norme incomprensibili, non attuali, che lasciano colpevolmente spiragli di interpretazione che consentono di poter arrivare, allo stesso tempo, sia ad un verdetto di condanna quanto di assoluzione, al limite della fortuna, della sorte, dove speri solo che “Dio te la mandi buona”. L’alternativa, se ci pensiamo bene, sarebbe pericolosa, da entrambe le parti: operatori che temono di intervenire anche in modo energico quando gli sarebbe consentito e dall’altra parte, delinquenti che già si sentono legittimati a scappare all’ALT con la convinzione che nessuno li inseguirà per paura; altri che si oppongono con violenza ad un controllo, ad una richiesta di documenti, all’espletamento del normale servizio perché tanto, sanno bene di quali mezzi dispongono le FF.PP. Quale forza possono utilizzare? Quali procedure? Uno vale uno? La forza dello Stato che deve vincere la resistenza del delinquente di turno, deve essere uguale? Dotiamo i cofani delle pattuglie con coltelli, mazze, spranghe da impiegare di volta in volta in funzione dell’offesa? Purtroppo, la consapevolezza di tutti è un’altra: anche se il delinquente di turno finisce in un’aula di Tribunale, tra attenuanti, mancanza di precedenti, riti premiali, pena sospesa, tenue entità, affidamenti e chi più ne ha più ne metta, gli finirà comunque bene e domani si sentirà ancor più legittimato. I sentimenti di impunità ormai diffusi spingono di fatto ad opporsi ai controlli, giustificano la violenza. Il silenzio colposo sistematico di certa parte politica, anche nelle istituzioni, sempre pronti a condannare gli operatori su strada e a giustificare o minimizzare gli autori di questi atti violenza, di certo non aiutano chi tutela i cittadini ed anche loro, che comunque spesso godono di un servizio di scorta proprio da quelle stesse forze di polizia che non tutelano, verso cui non hanno mai sentimenti di solidarietà o quanto meno di comprensione delle difficoltà nell’assolvimento del dovere. Occorrerebbe chiederci tutti: quale messaggio resta all’operatore generico medio? Mi conviene ancora inseguire i ladri? I delinquenti? Ma si possono o non si possono utilizzare le armi contro chi si si lancia contro di te con l’auto per forzare l’ALT, attentando alla tua vita? Ma se poi si finisce in Tribunale, non sarebbe meglio restituirlo questo inutile ed ingombrante pezzo di ferro? Conviene ancora fermare e controllare la gente per finire a fare il “wrestling” per strada? Perché poi, sappiamo benissimo tutti che noi finiamo a redigere montagne di carte (e mentre ancora stai ancora scrivendo e l’indagato è a casa ai domiciliari), affrontiamo processi dove le parti si invertono e l’indagato diventi tu operatore che devi giustificare ogni singolo passo? Occorre che le Istituzioni decidano seriamente: cosa vogliamo, cosa chiediamo da chi ci protegge e ci tutela? Quali mezzi gli forniamo? In che modo li mettiamo in condizione di fare ciò che gli chiediamo? Quali tutele legali e operative gli offriamo per ciò che gli chiediamo? Come li formiamo? Come li aggiorniamo? Come li ripaghiamo in termini economici, di considerazione, stima, di attenzione, di previdenza sociale, pensioni etc.? Occorrerebbe riflettere sul fatto che queste persone, alle quali si chiede molto e dalle quali si pretende – giustamente molto – non possono essere lasciate a loro stesse, in balia del buono e del cattivo tempo, del fato, della fortuna, dell’umore, della visione, dell’idea, dell’opinione dei tuttologi, dei politologi, dei giuristi in panciolle, di carrieristi che non vogliono problemi, di ideologi del mondo perfetto che non hanno neanche la più lontana idea di cosa significhi fare quella professione e trovarsi in quella particolare situazione su strada. Se ti prendi le coltellate da un qualunque aggressore, per salvare la vita di una povera vittima, allora ti danno un encomio e sei stato bravo. Se spari ad una persona che vaga con un coltello in mano, con il quale ha già aggredito numerose persone e non desiste, non si arrende e ti viene contro brandendo quello stesso coltello, ti prendi “l’atto dovuto”, l’iscrizione nel registro degli indagati. È per il tuo bene, ovviamente. Idem se spari contro chi forza l’ALT e ti lancia l’auto contro per ucciderti. Sicuramente troveremo il fine giurista in pantofole e vestaglia di seta che argomenterà sull’idoneità del mezzo, sull’effettiva volontà di ucciderti o procurarsi soltanto la via di fuga. Intanto, tu sei per strada a rischiare la vita e lui resta a casa in pantofole e vestaglietta di seta. Sei fai e va tutto bene, sei stato bravo. Se fai e qualcosa va male, sono problemi tuoi. Poi c’è chi resta inerme, non sa che fare, teme ed è bloccato, senza mezzi e con il timore di finire processato mentre tutti lo riprendono con il cellulare (un diritto di cronaca che diviene virale sui social dove i leoni da tastiera denigrano, deridono e sbeffeggiano l’operatore di turno) Se non fai, comunque sbagli, perché ometti, perché devi ricordati che la tua professione ti impone di “fare” e se non fai commetti un reato e ti becchi un altro processo. Devi comunque fare e saper fare bene. Devi fare bene! Servono regole di ingaggio per chi opera e certezza della pena nei confronti di quei pochi che, ogni tanto, finiscono rinviati a giudizio ma che ne escono troppo spesso impuniti se non anche vittoriosi, mentre i colleghi su strada restano triturati da un sistema farraginoso, non equilibrato, che attraversa processi penali, disciplinari e penale militare, con carriere bloccate. Il resto sono solo chiacchiere.
SIM CARABINIERI