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Psicologi militari: medioevo o rinascimento?

Il 17 febbraio scorso, il SIM Carabinieri diffondeva con grande piacere la notizia che il Consiglio di Stato avesse pronunciato l’ordinanza datata 10 febbraio 2022 per la riforma della sentenza n.10492/2016 del TAR del Lazio, riguardo l’annullamento dei provvedimenti introdotti dal Ministero volti a negare agli psicologi militari l’esercizio della libera professione fuori l’orario di servizio. A tal proposito si sottolineava come fosse “una pronuncia di rilevante importanza, volta a tutelare psicologi e psicoterapeuti militari, figure professionali indispensabili, cui non deve essere riconosciuto un valore inferiore a quello del medico nel diritto alla salute, oggi più che mai compromessa da un contesto sociale e militare che vede un crescente aumento dei fenomeni di disagio”.
Orbene, ci giunge notizia che l’Ufficio Affari Giuridici e Condizione Militare, del Comando Generale, abbia sollevato molti dubbi circa la validità della suddetta ordinanza del Consiglio di Stato ritenendo opportuno “operare un’approfondita e condivisa riflessione”, pertanto in un’ottica di viva collaborazione, si ritiene opportuno offrire delle rilevanti informazioni che potrebbero chiarire alcuni dubbi.
Il Consiglio di Stato rileva come l’art. 210 C.O.M. si inserisce in un quadro normativo (e sociale) in parte mutato e segnato dall’emergere, tra le professioni sanitarie, della professione dello psicologo, il cui esercizio subordinato all’iscrizione in un apposito albo e allo svolgimento di uno specifico percorso formativo, è inibito anche ai laureati in medicina (ad eccezione dell’attività di psicoterapia: cfr. Consiglio di Stato sez. VI – 25/09/2007, n.4940 in ordine all’impossibilità di svolgere, per i professionisti medici, di esercitare la psicologia clinica, in quanto riservata agli psicologi). La necessità dello svolgimento dell’attività professionale è prioritaria ai fini dell’acquisizione del bagaglio di esperienza del professionista, che ha l’obbligo di curare la propria formazione e competenza professionale nell’interesse della salute individuale e collettiva, come sancito dall’art. 16-quater del D. Lgs. n. 502 del 1992.
La citata ordinanza del Consiglio di Stato da l’opportunità all’Arma dei Carabinieri di offrire un servizio al passo con i tempi e di qualità professionale eccelsa, ma pare ancora una volta che invece di cogliere in questa apertura un’opportunità, ci si chiuda in un pensiero di retaggio medievale volto a reprimere il fervore motivazionale e professionale delle proprie risorse piuttosto che auspicare una rinascita culturale organizzativa.
Ma davvero pensiamo di affidare agli psicologi militari, oramai presenti in ogni infermeria, i nostri militari e i nostri familiari senza un’adeguata preparazione e aggiornamento professionale? Comprendendo le esigenze di regolare i ruoli tecnici in funzione delle specifiche esigenze istituzionali, non si può impedire al professionista di adempiere agli obblighi di legge previsti per il mantenimento della propria competenza professionale privando l’utenza di un’efficacia necessaria in un così delicato campo, anche alla luce, degli ingenti accessi alle infermerie per tematiche inerenti il disagio personale e i numeri delle condotte suicidarie di cui purtroppo sentiamo costantemente parlare.
l’Ufficio Affari Giuridici e Condizione Militare, del Comando Generale, sostiene che “gli psicologi, per via di una maggiore, diversificato e flessibile impiego sono legati all’amministrazione da un maggior vincolo di appartenenza (rispetto ai medici) in relazione alle funzioni svolte”. Il personale sanitario dell’Arma dei Carabinieri appartiene tutto all’istituzione senza vincoli più o meno solidi e senza preferenze. Non ci risulta che ci siano maggiori o minori vincoli di appartenenza per i carabinieri tutti e non ci risulta che ci siano giuramenti diversificati!
Si sostiene, inoltre, che gli psicologi svolgano funzioni di polizia giudiziaria ravvisando in queste un profilo di incompatibilità con la libera professione. Tale funzione è propria anche dei medici e non ci risulta che gli stessi prima di visitare un paziente gli chiedano se abbia o meno una posizione penale pendente!
NON esiste alcun profilo di incompatibilità neanche nelle aree diverse da quella prettamente clinica!
Infatti: per quanto riguarda le funzioni svolte dagli psicologi nel campo investigativo ricordiamo che esiste una sola posizione d’impiego al Racis a fronte di molti professionisti impegnati nell’attività clinica presso le infermerie; in ogni caso le eventuali consulenze tecniche d’ufficio sono richieste da un PM e quelle di parte devono di volta in volta essere  autorizzate. Per quanto riguarda l’attività di formazione generale e specialistica, sappiamo bene che l’attività di docenza e ricerca scientifica è libera, secondo l’art.33 della Costituzione ed è già svolta da molti psicologi che hanno plurimi incarichi addirittura come professori a contratto presso Università portando un fruttuoso scambio di competenze. Infine, per quanto riguarda la selezione del personale ci sarebbe tanto da dire dal momento che la figura dello psicologo è impiegata esclusivamente nella lettura dei test psicologici e partecipa come membro alle commissioni di concorso senza MAI colloquiare i militari, colloquio che invece, in base ad un modello di selezione fermo a circa 30 anni fa (antecedente alla legge 56/89), viene svolto dalla figura dell’Ufficiale Perito Selettore. Pertanto, anche in questo caso non si può ravvisare per lo psicologo alcun profilo di incompatibilità. (Si coglie l’occasione per sottolineare che l’Arma dei Carabinieri è l’unica Forza Armata ad aver mantenuto la figura del Perito Selettore rispetto alle altre istituzioni militari che da tempo hanno aggiornato il modello di selezione in funzione della presenza dell’ingresso degli psicologi nel mondo militare).
La sentenza del Consiglio di Stato si riferisce ad un diritto chiaro di aggiornamento professionale per rendere più efficace un servizio di supporto psicologico normato e identificato come una prestazione sanitaria di cui abbiamo tutti diritto in nome di un’Arma professionale e al passo con i tempi.
I nostri Carabinieri, i familiari e la cittadinanza hanno diritto ad una salute mentale professionale e non occasionale.
Basta con il medioevo! Che ci sia un florido RINASCIMENTO!
Infine appare inusuale che l’Arma contesti o ponga dubbi su pronunce del Consiglio di Stato che, ad oggi, ha sempre indirizzato l’ago della bilancia a favore dell’Amministrazione o, per meglio dire, a sfavore quasi sempre dei ricorrenti.

Dott.ssa LAURA SERAGUSA
Responsabile Dipartimento Salute e Benessere
SIM CARABINIERI
Segreteria Nazionale

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