“Lotto per vivere”. La battaglia contro l’uranio del Col.Carlo Calcagni
“Io ho fatto un giuramento e l’ho fatto sul tricolore. Lo Stato siamo noi cittadini e questo mi dà la voglia e la forza di rappresentare il mio paese e la divisa che indosso.”
Ho sempre pensato che, nella vita, alcune prove siano riservate ad esseri non comuni, speciali, quasi eroici: lui è uno di questi. E non solo per i meriti ed encomi militari ricevuti per la sua vita dedicata a servire la Patria, o per le medaglie conquistate da atleta.
Questa intervista la pensavo da mesi ma entrare nella sfera personale di un uomo come lui richiede delicatezza e rispetto e l’occasione per conoscerlo ed intervistarlo, si è presentata durante un evento organizzato per la proiezione del docu-film “Io sono il Colonnello” patrocinato dal Ministero della Difesa, che racconta la sua lunga storia. Ciò che colpisce di più, incontrandolo di persona, sono i suoi occhi: quello sguardo che nasconde ferite profonde che però non hanno mutato la pacatezza delle sue parole in strepiti, quel dolore che non ha scalfito l’umiltà e la forza di quest’uomo. Lui è un combattente che, attaccato ad un sottile filo di vita, ma un filo d’acciaio, lotta ogni giorno contro quel nemico invisibile e micidiale che si annida nel suo corpo.
Lui è il Colonnello. Lui è Carlo Calcagni.
Nominato Ufficiale del Ruolo d’Onore dell’Esercito Italiano nel 2009, è stato un pilota dell’AVES con alle spalle una lunga carriera di impieghi nazionali ed internazionali, atleta paralimpico che da diciassette anni convive con la MCS, sensibilità chimica multipla. È una rara sindrome multisisteimica di intolleranza totale ambientale alle sostanze chimiche, difficilmente riconoscibile a causa di sintomi differenti nei malati e che possono colpire ogni organo, non ancora riconosciuta tra quelle esenti nel nostro sistema sanitario nazionale, studiata in pochi centri specializzati in Italia. L’esposizione continua alla sostanza ” trigger” che la scatena, causa nei pazienti sintomi di tipo allergico come la dermatite da contatto, nausea, difficoltà respiratorie, ipersensibilità agli odori, con effetti irreversibile nell’organismo che possono sfociare in malattie autoimmuni, ictus e cancro. È dunque una patologia che incide fortemente sulla qualità della vita del paziente per l’impossibilità di trovare un ambiente adeguato nella quotidianità, portando quindi anche a sindromi depressive.
STORIA
Carlo Calcagni nasce il 30 ottobre del 1968 in Germania, da una famiglia di emigrati dal Salento, che lavorano per realizzare il sogno di costruire una casa a Guagnano e poter tornare in Italia, dove però Carlo farà rientro da solo a sei anni, per iniziare la scuola dell’obbligo prima ed il liceo poi dai Padri Scolopi nell’Istituto Calasanzio a Campi Salentina, dove alterna gli studi classici ad una intensa attività sportiva e al lavoro nei campi di famiglia. Poco prima della maturità classica, dietro suggerimento di un amico di scuola, presenta la domanda per il concorso per ufficiali di complemento dell’Esercito Italiano con l’intento di servire l’Italia come militare e atleta ed il sogno di entrare a far parte dell’illustre brigata Folgore, conseguire il brevetto di pilota osservatore di elicotteri prima, ed istruttore di volo successivamente. ” La divisa per me rappresenta l’onore, la dignità, l’umiltà, la determinazione, il carattere, il rispetto, l’amore verso il prossimo, il sacrificio, la forza, il coraggio, la speranza e, soprattutto, significa aver “scelto” di mettere la propria vita al servizio degli altri.” La sua è una carriera strepitosa: gli vengono assegnati ruoli e missioni di grande responsabilità che lo vedono protagonista durante l’alluvione di Sarno ed in Sicilia nell’operazione Vespri Siciliani. Subito dopo la strage del giudice Falcone si occupa di scorta, ricognizioni, trasporto magistrati, pattugliamenti ed era in volo su via d’Amelio mentre si consumava l’attentato al giudice Borsellino con la sua scorta. E ancora in Campania, dove prende parte all’operazione Partenope, ed in Calabria nell’operazione Riace. Svolge numerose missioni all’estero: Albania, Turchia e poi quella in Bosnia-Erzegovina nel 1996, come unico pilota del primo Contingente italiano, svolgendo attività di ricerca, ricognizione e servizio Medevac (servizio di evacuazione medico sanitaria d’urgenza). Ottimo pilota, primo del suo corso, elogiato ed encomiato dai suoi superiori, stimato ed ammirato dai militari di truppa per gli insegnamenti che, quotidianamente, riesce ad impartire con il suo esempio.
MALATTIA
“Ho iniziato a star male nel 2002 e poi, effettuando dei controlli e varie biopsie midollari ed epatiche, è stata riscontrata la massiccia presenza di metalli pesanti che in natura non esistono e che, attraverso le vie respiratorie, raggiungono gli organi interni. I metalli pesanti generati dall’esplosione delle bombe all’uranio impoverito, che è l’unico armamento che riesce a generare temperature altissime, riescono a sublimare, quindi a rendere anche più sottile della polvere qualsiasi materiale su cui impattano. Questo materiale, depositandosi sul terreno subito dopo l’esplosione, è facilmente inalabile da chi poi opera in quelle zone, come gli operatori del nucleo bonifica ordigni ed esplosivi nei campi minati e e nelle zone contaminate. Cosa incredibile è che gli americani avevano avvisato ed informato chi di dovere di questa pericolosità, c’erano dunque già delle certezze riguardo i danni per la salute di questi elementi…”
Ed è proprio durante il suo impiego in Bosnia che subisce l’intossicazione da metalli pesanti ed inizia il suo personale calvario, con una lenta contaminazione che ha devastato gli organi interni. La diagnosi è terribile: le gravi ripercussioni su cuore, reni, midollo e polmoni, sensibilità chimica multipla (MCS) da metalli pesanti, come riportato sul decreto di causa di servizio, da uranio impoverito comportano patologie (una forma di sclerosi multipla con parkinsonismo), malattie neurologiche croniche, degenerative ed irreversibili, danno all’ipofisi, con ipotiroidismo, ipogonadismo ipogonadotropo ed iposurrenalismo, fibrosi polmonare con insufficienza respiratoria, insufficienza renale, linfo-mielodisplasia in attesa di trapianto allogenico di midollo, cardiopatia, mutazione genetica del DNA per l’altissima concentrazione di metalli pesanti. Per sopravvivere ed affrontare le sue numerose patologie, tra cui mielodisplasia, cardiopatia, sensibilità chimica multipla, Parkinson, Carlo si sottopone a cure quotidiane pesantissime che prevedono, tra l’altro, 7 iniezioni, 4 ore di flebo, 300 compresse, ossigenoterapia, sauna ad infrarossi, lettino ad infrarossi, viene riformato con il 100% di invalidità, si sente abbandonato dalle istituzioni. Ma, nonostante tutto, il Colonnello non demorde e porta il suo esempio di uomo e militare dentro e fuori i confini nazionali, ricevendo attestazioni di stima e riconoscimenti in tutta la penisola, così come pochi giorni fa a Carrù, dove ha ricevuto il “Bue d’oro “, conferito alle figure di spicco che si sono maggiormente distinte nel mondo culturale, sportivo e politico, insieme al ministro per la pubblica amministrazione Fabiana Dadone.
“Se tornassi indietro rifarei tutto quello che ho fatto: era il mio dovere e credo di averlo fatto al meglio! Ironia della sorte, proprio in Bosnia sono stato encomiato in zona di operazioni per aver ben dato lustro all’Esercito Italiano e all’Italia intera in un contesto internazionale; questo non mi ha portato a nessun riconoscimento in Italia, neanche una medaglia di cartone riciclato perché sono rientrato con le mie gambe..”
Il coraggio che quest’uomo emana, la speranza che lo spinge ogni giorno ad aggrapparsi con tenacia alla vita, non si possono riassumere in nessun articolo che riesca a descrivere la sua vita e ciò che subisce. Nonostante il carrello che lo sostiene nei suoi spostamenti, nonostante quel tubicino di ossigeno sempre attaccato che con il suo costante soffio scandisce i respiri, la sua integrità morale, la sua autorità e la sua fierezza riempiono ogni spazio intorno a quest’umile servitore di uno Stato che, troppo spesso, abbandona i suoi uomini migliori. Il Colonnello ha scelto di trasformare il suo dolore donandosi al prossimo, facendosi portavoce di chi non può farlo, di tutte le vittime del dovere che hanno dato la propria vita per eseguire un ordine, per difendere i propri ideali, per dare fede al giuramento prestato contro l’indifferenza di chi ha il dovere morale ed istituzionale di sostenerle.
SPORT
Quando non è in missione, Calcagni è in gara perché, dopo la divisa, è lo sport a dargli la voglia di continuare a lottare: da giovane rifiutò una brillante carriera da ciclista professionista per poter svolgere la sua professione di ufficiale elicotterista dell’Esercito. È infatti atleta di punta del Gruppo Sportivo Paralimpico della Difesa con all’attivo ben tre medaglie d’oro agli Invictus Games del 2016, svoltisi ad Orlando, rispettivamente per ciclismo a cronometro, ciclismo su strada e canottaggio indoor. Poi un giorno arriva la squalifica per doping, ormai del tutto scontata, a causa dei farmaci salvavita che è costretto a prendere per non morire e che all’inizio erano autorizzati ed ora non più, escludendolo “a tavolino” dalla partecipazione alle competizioni, come il mondiale che sognava di vincere. Pur di perseguire il suo obiettivo, il Colonnello si rivolge al centro sperimentale di endocrinologia dell’ospedale San Raffaele e sceglie di sospendere le cure per tre mesi, per poter dimostrare l’inconfutabile necessità di quei farmaci e che i valori ormonali contestati, sono per lui il minimo per sopravvivere. Ma dopo solamente quattro settimane il quadro clinico si fa gravissimo ed è costretto a riprendere la terapia, ad inviare la relazione medica per poter gareggiare ma che, in meno di ventiquattr’ore, viene respinta.
Malgrado questo, il Colonnello continua a dedicarsi alla sua passione, lasciando la bici per il triciclo, con il quale affronterà il Monte Grappa Bike Day, manifestazione ciclistica che termina presso il Sacrario monumentale militare, dove è lui stesso a deporre la corona trasportata per tutto il percorso, per ricordare gli oltre 23.000 soldati caduti nella battaglia alla fine della prima guerra mondiale e, simbolicamente, tutti i militari vittime delle missioni di peace keeping in terre lontane.
FILM E RICONOSCIMENTI
Due premi internazionali vinti per “Io sono Il Colonnello”, il docu-film sulla vita del Colonnello Calcagni ha avuto il patrocinio di ASI (Associazioni Sportive Italiane) ed è autorizzato dallo Stato Maggiore della Difesa, del regista Michelangelo Gratton di Ability Channel, premiato come miglior film al “MigrArti” Film Festival di Caltabellotta, in Sicilia, organizzato con il contributo ed il sostegno del MIBACT (Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo) e il “Vertical Movie Fest”di Roma. Un docu-film che racconta il dolore, il coraggio di un militare fedele al suo giuramento, di uomo pieno di speranza e voglia di vivere nonostante la malattia, simbolo di tutti quegli italiani che si sacrificano per la Patria contro un sistema che sembra impedirgli la sua vera passione: correre in bicicletta! “Lo sport è inclusione. Escludendo, perdiamo tutti”, afferma il Colonnello.
“Non posso fermarmi”, prosegue “coloro che soffrono devono tornare a credere in sé stessi, non devono arrendersi perché occorre darsi sempre una possibilità. Dobbiamo confinare le sofferenze e vivere ogni attimo con il cuore, senza mai smettere di amare la vita”.
LIBRO
Ho avuto l’onore di leggere il suo libro nel cassetto, denso di ricordi, emozioni, scritto in collaborazione con la Dottoressa Tiziana Dario e dedicato ai suoi due figli, per i quali nutre un amore viscerale. È il racconto della sua vita, delle sue passioni e dei suoi miti. Spaziando dalla carriera militare, all’omaggio a Marco Pantani, dalla disciplina del primo insegnante di arti marziali, ai principi di fratellanza della Folgore, dalla passione per gli elicotteri a quella per la bicicletta, sia ha il quadro completo di un uomo determinato che, spogliandosi di ogni pudore, non esita di mostrare a cuore aperto il suo vero io, le sue paure e debolezze, la tenacia e la speranza, nonostante le sanzioni ed i procedimenti disciplinari. Il tutto costantemente scandito dal suono penetrante del concentratore di ossigeno, dai colori delle centinaia di compresse che porta nello zaino, da un sorriso timido, appena accennato, e da un abbraccio forte che ci scambiamo salutandoci, in cui sento tutto il significato del suo motto #MaiArrendersi.
Alessandra D’Andrea
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