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Lettera di un iscritto – “Tu non sei il tuo lavoro”

Da qualche giorno penso e ripenso ad una delle iconiche frasi del film “Fight club”: “tu non sei il tuo lavoro“…

Mai, come in questi giorni, mi è maledettamente tornata attuale in mente questa frase…

Tutti possono liberamente affermare di non essere il proprio lavoro?

Tutti possono essere liberi di dire ed esternare anche fisicamente il proprio pensiero, dissenso, sostegno, sdegno, ideale, parere?

Tutti possono fare davvero ciò che vogliono nel proprio tempo libero, a prescindere dalla professione, proprio perché “non si è” il proprio lavoro?

Non parlo di divieti espressi dalla legge per determinate categorie, sia chiaro.

Faccio riferimento all’opportunità di fare o non fare determinate cose, di dirle o non dirle, pubblicarle o meno.

Nel mio caso no. Io non sono libero.

Io sono il mio lavoro.

E aggiungo, sinceramente, che sono fermamente convinto che sia giusto così.

Uso dei social accurato, frasi opportune, concetti neutri, pensieri che non urtino alcuno (salvo qualche leone da tastiera che ha fatto una vita sommessa e sfavillanti carriere per andare poi in pensione, svegliarsi e pettinare indietro la criniera con il gel…)

Attenzione alle persone che frequenti, i luoghi che frequenti, le pagine social che segui, i like che metti, dove e a chi.

Alla prima cazzata, ti trovi scandagliata la tua vita privata ed il profilo Facebook su Rai Uno…

L’indomani trasferito – notte tempo – in note località a controllare il numero di telaio delle pecore o a dividere le cravatte al magazzino vestiario (e solo quelle, perché non vi è differenza di taglia o di colore quindi non puoi sbagliare!).

Non solo per me – che sono un umile operaio neanche tanto specializzato – non è opportuno farlo, ma è anche espressamente vietato. Mi spiego?

Qualcuno dirà: “”Che banalità! Che ovvietà! Ci mancherebbe! È normale che sia così, per determinate professioni, per i valori che custodiscono, per le Istituzioni che rappresentano per la terzietà che garantiscono“?

E invece no! Non è così, non per tutti. Forse solo per noi, operai generici medi non troppo specializzati.

Grazie a Dio, “Io sono il mio lavoro” e sono fiero ed orgoglioso di esserlo.

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