CoronavirusEditoriali

IO NON CI STO!

In questo giorni, nei quali si susseguono certificazioni su certificazioni, dichiarazioni su dichiarazioni, stampi un modulo e lo sostituisci con un altro. In questi giorni durante i quali neanche tra gli operatori c’è certezza, chiarezza e uniformità di azione; in questi giorni durante i quali bisogna fare fronte alla carenza di mascherine e di presidi sanitari idonei alla propria ed altrui incolumità; in questi giorni così difficili è solo lo spirito di sacrificio degli operatori su strada che costituisce l’elemento che fa la differenza e che consente di “superare ogni difficoltà”, al solo fine di garantire la sicurezza degli Italiani, il rispetto delle direttive nazionali e locali (spesso in contrapposizione). Ecco, in questi giorni così terribili, assistiamo attoniti ad atti indecorosi, irrispettosi, di vera e piena ribellione nei confronti di chi cerca di garantire l’ordine e la sicurezza pubblica. Non vi è dubbio che siano momenti difficili, ma lo sono per tutti. Le persone sono insofferenti a restare in casa, dimenticando che gli operatori su strada sono quelli che, dopo turni massacranti, prima o poi a casa devono tornarci e lo fanno con il terrore di aver potuto contrarre il virus e di riportarlo in famiglia, al pari degli operatori sanitari e di tutti quelli che combattono quotidianamente questa guerra con abnegazione. Ebbene, invece di collaborare tutti insieme da bravi “fratelli d’Italia” e di “stringerci a coorte” in questa nefasta battaglia, osserviamo sempre più numerose persone che filmano le loro “nobili gesta”, le loro personali rivoluzioni di carta pesta, dileggiando altri cittadini in uniforme, divertiti e fieri. C’è chi risponde alla richiesta delle proprie generalità con: “Chi sei tu? Chiunque può avere una uniforme! Tu mi devi dare i documenti a me, io non ti do niente! Tu mi devi dire chi sei!” e mentre con una mano brandisce il cellulare, con l’altra prende in cane dal sedile posteriore, anzi un molosso. Ancora, chi in giro con la bici inneggia al diritto internazionale, a presunti atti illegali contro la persona umana filmando il proprio coraggio. Altri, invertendo le parti, chiedono contezza ai Carabinieri in servizio con le uniformi e le vetture di servizio, relegati ormai a ostaggi delle loro dirette Facebook, tenuti sotto il tiro dei loro inesorabili smartphone, ripresi anche da più angolazioni. Allora ci chiediamo l’italiano, chiuso in casa e sottoposto a sacrifici al pari di tanti altri, quali sentimenti prova nel vedere quelle immagini? Cosa si prova nel vedere quei video virali che su whatsapp impazzano con inseguimenti in spiaggia, gente in mare con tutta la bici, polemiche sterili ed estenuanti, forbiti ed arditi filosofi del diritto della domenica, che ostentano “live”, attivano “storie su instagram” ottenendo così i loro quindici minuti di celebrità di Warhol, manco fossimo nel più becero e squallido reality? I politici, i ministri che quei decreti hanno varato, chiedendo l’attuazione scrupolosa ed attenta delle loro disposizioni, cosa provano nel vedere le nostre uniformi così vilipese, ridicolizzate ed umiliate? Forse nulla, tenuto conto dei provvedimenti inesistenti in tal senso, della mancata solidarietà espressa, della totale assenza di prese di posizione. Ci chiediamo, se entrassimo in un pronto soccorso e riprendessimo con uno smartphone il medico che sta visitando e curando un nostro parente, cosa accadrebbe? Il medico ce lo permetterebbe? Se entrassimo in un’aula di Tribunale e riprendessimo un’udienza senza il consesso del Presidente, potremmo farlo? Se entrassimo in classe e riprendessimo il professore durante la sua spiegazione o durante interrogazione, cosa succederebbe? E se poi lo divulgassimo su whatsapp? Non sono attività pubbliche pure quelle? E se filmassimo un Consiglio dei Ministri o una riunione di una Commissione di inchiesta? Non sono forse anch’esse di interesse nazionale? Non vi è in ballo sempre il bene pubblico? Non vi sarebbe diritto di cronaca? Alla gente non interesserebbe conoscere di cosa si discute? Molti dimenticano che l’uniforme che indossiamo, sia essa dei Carabinieri o della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza o della Polizia Municipale, dei Vigili del Fuoco, della Croce Rossa o della Protezione Civile, qualunque essa sia È UNA UNIFORME DELLO STATO ITALIANO, indossata con sacrifico ed orgoglio, onore e disciplina, per la quale si è anche disposti a dare la vita, come troppe volte è successo. Ebbene, sotto quella uniforme non c’è Mario, Luca, Giovanna o Antonella o chi volete voi. Ci siamo tutti, tutti i fratelli italiani chiamati ad un grande sforzo ad una battaglia senza precedenti. Quando si manda a quel paese un Carabiniere, non è una ingiuria aggravata, non ha offeso Mario, perché a Mario neanche lo si conosce: si è offeso lo Stato Italiano, tutti gli italiani rappresentati e tutelati dai fratelli e sorelle in uniforme. Si offendono le Leggi che lo Stato ha emanato e non soltanto chi è demandato a tutelarle. La legge non disciplina in modo certo e preciso i confini della possibilità di riprendere i Carabinieri e i poliziotti su strada, mentre operano, verbalizzano e si prodigano tra mille difficoltà. La confusione sulla normativa sulla privacy, il diritto di cronaca, il bilanciamento degli interessi in gioco c’entra poco, bisogna andare oltre e legiferare disciplinando in modo chiaro e definitivo in materia. Presto la Corte Europea si pronuncerà in merito e vedremo cosa recepirà il nostro Stato. La lotta oggi non è solo con un nemico invisibile ed inesorabile che è il coronavirus, ma è anche e soprattutto spostata su un terreno infimo, sulla palude della morbosa curiosità dei social e delle condivisioni virali che ignorano l’onore e la dignità dei professionisti che lavorano con onore e vengono trattati come zimbelli, bersaglio delle frustrazioni di gente fallita professionalmente ed umanamente, come se non si trattasse di essere umani. Chi indossa queste uniforme sa bene come e dove vanno a finire le denunce per “oltraggio” e con quale priorità e modalità vengono poi trattate.
La domanda da porsi oggi, adesso, è un’altra: “Voglio veramente essere rappresentato in quel modo? Io cittadino che faccio parte dello Stato, veramente mi identifico in quel povero Carabiniere ostaggio di una diretta Facebook? Io, cittadino onesto e laborioso, mi sento tutelato da un Poliziotto che ha timore ad operare perché teme di diventare il protagonista del video virale della settimana e magari essere pure punito o denunciato ? Si potrebbe obiettare dicendo che se si opera nel rispetto delle leggi non si dovrebbe temere il fatto di essere ripresi. La verità è un’altra: quel telefonino diventa un’arma finalizzata a far innervosire l’operatore, provocarlo, portarlo a sbagliare ridicolizzarlo, intimorirlo. E’ così difficile da capire?
Io politico e rappresentante dello Stato, voglio che quella sia la fine che devono fare uomini e donne da me chiamati ed incaricati a rappresentare lo Stato in tutto il territorio e garantire la supremazia del diritto e delle leggi? ”
La risposta deve darla la politica il cui assordante silenzio è diventato ormai intollerabile.
Legiferate. Intervenite. Tutelate non noi ma l’immagine dell’istituzione che, oggi più che mai, è di esempio in tutto il mondo tranne che in Italia. Decidete quali Forze dell’Ordine volete sul territorio e come devono operare. Non si tratta di invocare leggi incostituzionali o di istituire uno Stato di Polizia.
Chiedetevi se sia giusto o meno che un lavoratore, padre di famiglia al pari di qualunque altro dignitoso fratello italiano, debba tollerare questo squallido livello a cui siamo giunti e se, a parti inverse, nei vostri ruoli, nei vostri quotidiani impegni, nelle vostre nobilissime ed onorevolissime mansioni lo tollerereste.
Adesso Basta!

SIM CARABINIERI

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