Allarme suicidi: un’emergenza non rinviabile.
Torniamo a parlare di suicidi. Sì, perché un Sindacato ha come missione primaria l’analisi dei problemi del personale, la loro soluzione ed il miglioramento delle condizioni lavorative che inevitabilmente si ripercuotono sulla qualità della propria vita nel suo complesso. È questo che un sindacato degno di questo nome deve avere a cuore! Parliamo ancora una volta dei suicidi tra gli uomini in uniforme, quelle morti silenziose sulle quali nessuno vuole indagare. Nessun servizio sui tg nazionali, magari un trafiletto di poche righe nei giornali locali, tra le beghe di un condominio e le buche stradali che l’amministrazione non vuole tappare, con qualche ipotesi sui motivi (meglio più di una, così resta il dubbio!): l’amante, i debiti da gioco, qualche altra infamante teoria e poi il dimenticatoio. Un limbo fatto di numeri spaventosi dove vengono relegate, anzi fagocitate, vite di donne e uomini che, sebbene in uniforme, sono sempre esseri umani che lasciano familiari, mogli, figli, compagni/e, genitori. Se fossero stati anche lontanamente accusati del più insignificante dei reati, avremmo apprezzato i loro volti (anche in uniforme, come recentemente e vergognosamente avvenuto su un quotidiano); sicuramente qualcuno avrebbe scavato nella palude della curiosità morbosa così da giustificare (se non incitare) l’odio dilagante sulle uniformi. Non è autocommiserazione ma triste realtà!
Recentemente, abbiamo dovuto pure sorbire la retorica di illustri incompetenti del settore (ci scusiamo per l’ossimoro), che si sono spinti fino a diagnosticare un “morbo”, un male che affliggerebbe l’Arma dall’interno, sottolineando che i fatti di cronaca non sarebbero imputabili alle poche “mele marce” ma ad un sistema individuato e descritto in un pindarico “giretto di parole” di granitica inconsistenza (altro ossimoro); un impianto di aria fritta che neanche avessero fatto quarant’anni di radiomobile, comandato una Stazione o avessero tremato impugnando un’arma mentre le sirene spiegate li portavano dritto verso la rapina, nella direzione diametralmente opposta da cui tutti gli altri scappavano. Ma il nostro si sa, è il paese dei santi, poeti, navigatori, allenatori, tuttologi, politologi e anche esperti sociologi dalla visione ottusa e prevenuta, quelli che aspettano l’errore del singolo per gettare – per l’ennesima volta – nel tritacarne centinaia di migliaia di uomini e donne, nei confronti dei quali è stato diagnosticato un morbo…bontà loro!! Ma anche loro, purtroppo, non hanno mai tirato giù neanche due righe sulle morti silenziose che ogni anno, in sordina, squarciano il cuore di parenti, amici, colleghi di reparto. Il tuttologo non può scrivere cosa si prova quando arriva il messaggio dell’ennesimo suicidio del collega, perché non lo ha provato. Quale altra categoria lavorativa, in Italia, può “vantare” il numero dei suicidi che ci affligge?
Quella dei giornalisti, forse? Grazie al cielo no, nessuno può “vantare” questo tristissimo primato. Nessuno può dirti cosa si prova quando leggi su WhatsApp dell’ennesimo collega che si è sparato con la pistola di ordinanza, sia esso un tuo paricorso che ha deciso di farla finita o un collega sconosciuto. Magari hai lavorato con lui per anni, conosci la moglie, i figli, hai fatto servizio di pattuglia insieme, forse in una di quelle lunghe ed interminabili notti durante le quali si incrociano e si scambiano le vite, le confidenze, i desideri, i sogni, le preoccupazioni per i figli e per il futuro. Nessuno può capirlo, a nessuno interessa parlarne perché non è di tendenza, non fa notizia, non “tira” gli ascolti quanto le secchiate di letame, tirate a prescindere, vera o meno che sia la notizia; intanto inondiamoli di concime mediatico fabbricato dalla macchina del fango, mescoliamo la realtà con la finzione, le ipotesi fantasiose spacciate per certezze. E perché no? Mandiamo un inviato ad intervistare la gente per strada: “chissà se è vero che il Maresciallo insidia le donne del paese?”. Roba che farebbe impallidire anche De André e la sua “bocca di rosa”. Perché mai mandare un inviato nel paesino dove si è suicidato un carabiniere o un poliziotto? A chi potrebbe interessare? Non c’è gossip, non c’è nulla di torbido, insomma, non c’è del marcio in Danimarca, per dirla alla Shakespeare. Perché mai indagare sui veri morbi? Anche perché lì non servirebbero giornalai, ma seri professionisti competenti. Per quale motivo dovrebbero mai interrogarsi sui veri problemi?
Nel nostro paese, chi non conosce le cose te le spiega, chi non è competente in un settore lo dirige e magari ti fa pure da Ministro perché alla fine è il consenso politico che conta e non la competenza. Anche se riuscissimo a estraniarci dal problema, a distaccarcene, osservandolo dall’alto come un qualcosa che non ci riguarda e che non ci tange, non potremmo comunque ignorarne l’aspetto più immediato, più eclatante: l’assordante silenzio! Questo ennesimo ossimoro è la figura retorica che meglio di qualunque altra si attaglia all’annosa questione che ci riguarda direttamente.
Lasciamo l’aspetto sentimentale, affettivo e umano. Volgiamo invece lo sguardo alle statistiche, alla fredda e distaccata realtà che ti restituisce l’oggettività dei numeri.
Nell’anno 2019 si sono suicidati 19 appartenenti alle Polizia di Stato, 17 Carabinieri, 6 Finanzieri, 11 appartenenti alla Polizia Penitenziari, 5 appartenenti alla Polizia Locale, 8 militari delle Forze Armate, 1 Vigile del Fuoco, 2 Guardie Giurate. Totale: 69 servitori dello Stato hanno deciso di togliersi la vita, nel più totale silenzio.
Nell’anno 2020, durante questo orribile anno devastato dalla furia del covid-19, i suicidi tra le nostre uniformi sono stati tantissimi: 6 Finanzieri,15 Carabinieri, 8 appartenenti alla Polizia di Stato, 5 della Polizia Locale, 2 Marina Militare, 1 Capitaneria di Porto, 1 Aeronautica, 1 Esercito, 7 Polizia Penitenziaria, 3 Guardie Giurate.
Totale 49 servitori dello Stato. L’ultimo, il 27 novembre u.s., un giovanissimo Carabiniere di 21 anni.
Se guardiamo indietro, dal 2010 al 2016, son ben 255 i morti in uniforme, come riportato da una inchiesta di Panorama. L’associazione “Cerchio blu” ci restituisce i numeri dei suicidi dal 2014 al 2020 (aggiornati al 29.11.2020): Totale 297.
Nell’anno 2021 siamo a 27, di cui più della metà Carabinieri.
Non vogliamo proseguire oltre massacrandoci di statistiche, perché dietro ad un numerino c’è un uomo, una donna, intere famiglie devastate, bambini segnati per sempre.
Purtroppo, per i mass-media i problemi sono altri, ci si concentra sul numerino da apporre sul casco durante l’ordine pubblico, sul reato di tortura, sullo 0.000 % periodico di chi viene arrestato, di chi macchia la nostra uniforme indossandola indegnamente a dispetto di centinaia di migliaia di uomini e donne che nonostante tutto, dignitosamente, fanno il loro servizio. Non lo chiamiamo volutamente “lavoro”, perché è un servizio svolto con dignità ed onore a favore della nostra comunità.
Vogliamo invece concludere con una richiesta, che non vuole essere una provocazione o una boutade.
Chiediamo a gran voce che venga istituita la “Giornata Nazionale in ricordo delle vittime di suicidio del comparto sicurezza e difesa” al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica tutta, chi ci governa, chi si dovrebbe occupare del nostro benessere e della nostra serenità psicofisica su questa terribile piaga. Abbiamo bisogno che qualcuno si interroghi su quali potrebbero essere i fattori di rischio, l’incidenza dello stress, bournout, l’incidenza delle situazioni debitorie legate alle condizione economiche delle retribuzioni, il mobbing, la selezione del personale, le frustrazioni per il sistema di avanzamenti, la soddisfazione lavorativa legata all’esistenza, o meno, della meritocrazia. Vogliamo fare qualche proporzione statistica o magari qualche bel grafico di quelli con le colonnine colorate dove ci mettiamo il numero di punizioni, di trasferimenti dal giorno alla notte, di sospensioni dal servizio, di ricorsi amministrativi insieme anche al numero di condanne inflitte da TAR ed altri organi alle amministrazioni inadempienti? (e chi paga?)
Ovviamente tutto questo non causa stress e frustrazione. No, affatto.
Recentemente, un nostro iscritto ha fatto domanda di trasferimento motivata da ricongiungimento familiare e legge 104. Trasferimento negato, ricorso al TAR, amministrazione soccombente, revoca del provvedimento, nuovo provvedimento negato, altro ricorso al TAR, altro verdetto a favore del militare, ricorso al Consiglio di Stato da parte dell’Amministrazione (perché tanto chi paga l’avvocato dell’Amministrazione? e quello del militare chi lo paga?). Consiglio di Stato conferma le precedenti pronunce e ribadisce che il militare andava trasferito per i motivi addotti (2 sentenze non erano bastate) e condanna ancora una volta l’amministrazione al pagamento delle spese (e chi le paga?). Ma niente. Amministrazione silenziosa per mesi e mesi. Sarebbe occorso un nuovo ricorso per rendere esecutivo il dispositivo. Dopo sei mesi, finalmente l’agognato trasferimento. E se il militare si fosse suicidato per disperazione o perché non aveva i soldi per pagare tutti questi gradi di giudizio? Qualcuno risponde di questi incomprensibili ed onerosi accanimenti? Questi uomini e queste donne hanno la possibilità di esprimere il loro disagio? Hanno un sindacato che sia degno di questo nome e che possa rappresentare i loro problemi? La legge sul sindaco rende loro il sacro santo di essere rappresentati o è, di fatto, una farsa che scimmiotta le vecchie rappresentanze, come tante volte denunciato da noi del SIM Carabinieri?
Forse abbiamo la concezione settecentesca dei soldatini di piombo non pensanti da mandare al macello, gli “yes man” (e woman) che devo solo ubbidir tacendo e tacendo morir, vada come vada?
Sono molteplici i fattori di incidenza. Bisogna necessariamente istituire una giornata nazionale che ponga i riflettori su questi ed altri fattori di rischio, che sensibilizzi qualcuno ad affrontare realmente il problema. Oggi andare a discutere o confrontarsi con uno psicologo significa, come minimo, consegnare pistola e tesserino per sei mesi e vedersi decurtato lo stipendio e rivalutata la sede di impiego e di servizio. Altre nazioni come l’America, ci hanno abituati allo psicologo del dipartimento di polizia, quello a cui rivolgersi dopo la sparatoria, dopo la morte del collega in servizio, dopo un problema. Vogliamo chiederci quanti psicologi ci sono per provincia? Zero! Alziamo il livello ordinativo e forse ne troveremmo uno o due per regione. Con quali modalità di accesso ? Dalle visite al momento dell’arruolamento, quali sono le altre occasioni per fare un check?
In occasione di ogni avanzamento, forse? Oppure, la triste realtà è quella che dimostra come dopo la selezione dell’arruolamento ed il colloquio con lo psicologo al CNSR, si può benissimo andare in congedo dopo quarant’anni di servizio senza aver mai avuto ulteriori visite o confronti con un professionista del genere? (oltre alla totale assenza di visite periodiche, di screening di natura medica che potrebbero prevenire e scongiurare serie patologie)
Perché non avere la possibilità di discutere con uno psicologo riservatamente, senza timore di ripercussioni, così da poter prevenire queste situazioni? Siamo anni luce in ritardo rispetto a questa annosa questione e non serve continuare a nascondere la polvere sotto il tappeto, con il silenzio compiacente di chi distoglie l’attenzione con altre “armi di distrazione di massa”.
Cercavate un morbo? Questo è un problema grave che va affrontato seriamente e magari, tra la giornata nazionale del gatto, quella della gentilezza, quella del cane, quella della televisione e quella degli alberi, si potrebbe trovare un posticino anche per la mattanza di uomini e donne in uniforme.
Vi proponiamo una data: 5 novembre, il giorno dopo la celebrazione della Festa dell’Unità di Italia e delle Forze Armate. Il giorno successivo, se vogliamo veramente bene alle nostre uniformi, dimostriamo di prendercene cura con una giornata che pone l’accento sulle loro condizioni di vita e di servizio. Le Forze Armate, le Forze di Polizia sono un bene di tutta la comunità e dobbiamo veramente prendercene cura, tutti insieme, affrontando i problemi – quelli seri – con cognizione di causa e competenza.
Solo così potremo avere professionisti preparati, equilibrati, sereni che si trovano nelle migliori condizioni di rendere il loro servizio in favore della collettività
SIM CARABINIERI